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La bocca è un recettore posturale importante. Influenza e a sua volta viene influenzato dalle problematiche posturali

Le sezioni sottostanti forniscono informazioni in grado di spiegare buona parte delle correlazioni strutturali e perché mettendo mano in bocca possiamo dare una mano ai nostri pazienti

Introduzione alla gnatologia

La gnatologia è un argomento complesso visto che si interfaccia con altre specialità mediche (ORL, neurologia, fisiatria, odontoiatria, chiropratica, osteopatia), pertanto ha bisogno di essere spiegato affinché possa essere capito.

Bisogna considerare che in questa pagina del sito viene fatto solo un piccolo accenno alle patologie sistemiche che presentano un quadro sintomatologico sovrapponibile alla Disfunzioni Cranio Cervico Mandibolari (DCCM).
Basti pensare che per cercare di spiegare tale problematica il Dott. Condorelli e i coautori del libro “DALL’OTONEUROLOGIA ALLA POSTUROLOGIA STATICA E DINAMICA” si sono fermati a 400 pagine, sapendo che c’era molto altro da dire. In questa pagina abbiamo cercato di accorpare tutte le informazioni che possano spiegare al paziente buona parte delle correlazioni strutturali e spiegare perché mettendo mano in bocca possiamo dargli una mano.

Come indicato nella sezione Terapia Gnatologica spesso bisogna fare veramente poco per raggiungere il benessere del paziente senza fargli spendere troppi denari. Tutto ciò a patto che si faccia una corretta diagnosi e non ci si improvvisi gnatologi (maggiori informazioni sono disponibili nella sezione Disfunzioni Cranio Cervico Mandibolari (DCCM) e Disfunzioni Temporo-Mandibolari (DTM).

Terapia gnatologica
Il trattamento

Il trattamento dei pazienti con disfunzioni gnatologiche, prevede un percorso diagnostico complesso, che si avvale di protocolli diversi, a seconda delle necesità del caso specifico. Lo scopo per l’odontoiatra gnatologo, è quello di ricreare un equilibrio strutturale, muscolare e funzionale del terzo inferiore del viso, affinché questo possa risolvere i disturbi correlati e donare un’ armonia migliore anche nei distretti contigui. La terapia è costituita da dispositivi, che possiamo denominare rieducatori di struttura e funzione, anche detti placche occlusali o meglio ancora, conosciuti come bite (da bite plane). Il termine bite, spesso viene generalizzato per denominare qualcosa che viene posizionato tra i denti, talora nell’arcata superiore, talora nell’arcata inferiore. In realtà i dispositivi di rieducazione, devono essere finemente studiati e applicati con molta cura e attenzione.

Gli obiettivi che devono soddisfare le placche occlusali, sono i seguenti:

  • eliminare la propriocezione dell’occlusione esistente
  • rilassare i muscoli
  • correggere la posizione del complesso condilo-discale
  • contrastare la parafunzione notturna (serramento, bruxismo)
  • riposizionare la mandibola assecondando o meno l’alterata postura del rachide cervicale

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L’eliminazione della propriocezione dell’occlusione abituale esistente è raggiungibile modificando le  informazioni  che  giungono al SNC. Una placca, variando i rapporti anatomo­funzionali del complesso condilo-discale, modifica le informazioni che partono dall’ATM, raggiungendo così lo scopo per cui è stata posizionata. Contemporaneamente, si modificano le informazioni provenienti dai recettori parodontali, relative a posizione, numero e forza dei contatti dentali.

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Il secondo obiettivo  che  si  chiede  a  una placca  occlusale è quello di procurare rilassamento muscolare. L’azione di una placca si esplica sui recettori muscolari in quanto, cambiando la dimensione verticale dell’occlusione, modifica l’informazione proveniente dai fusi neuromuscolari , induce, in un tempo variabile e a secondo del soggetto, a rilassamento muscolare. Per una valutazione più precisa di questo percorso, ci si avvale dell’uso dell’elettromiografia di superficie, che ci aiuta nel monitorare i muscoli in spasmo in T0 affinché vadano verso un miglioramento durante la terapia gnatologica.

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Il terzo obiettivo di una placca è quello di correggere ì rapporti del complesso condilo­discale. Una  placca  occlusale  determina  uno  spostamento del condilo mandibolare a seconda delle necessità specifiche, permettendo  al disco di riposizionarsi correttamente e di accompagnare l’escursione dei  capi  articolari  durante  i  movimenti   della  mandibola. La difficoltà legata alle situazioni specifiche ed individuali, nelle diverse diagnosi disfunzionali, non consente di poter utilizzare lo stesso principio per tutti i casi clinici. Non è possibile né tanto meno prognosticamente favorevole, potersi affidare ad una standardizzazione di terapia. La placca dev’essere studiata quindi individualmente basandosi sulla diagnosi specifica del soggetto.
Non si può confezionare un bite prendendo solo 2 impronte. Vedi paragrafo diagnosi gnatologica.

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Quarto obiettivo , molto importante, è quello di contrastare il serramento notturno che è una delle cause principali perché  si possa sviluppare il quadro completo di DCCM.
In realtà un’eziopatogenesi conosciuta del serramento o del digrignamento non esiste. Sono state formulate negli anni molte ipotesi, tutte ragionevoli, ma l’idea che ci siamo fatti è che tale parafunzione ha una patogenesi multifattoriale. Proprio per tale ragione è impossibile poter dire con certezza che si riesca ad eliminare questa condizione, ma, possiamo dire con sicurezza che riusciamo quantomeno a contrastarne gli effetti, bloccando tutta una serie di correlazioni, che comportano uno scompenso più generale del corpo.

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Quinto ma non ultimo obiettivo della placca occlusale è quello riposizionare la mandibola affinché non vada ad inficiare sull’attività funzionale e strutturale del rachide cervicale, dando un interessante contributo ad un sistema così complesso e altrettanto importante del sistema posturale. Facendo una valutazione sia cefalometrica sia funzionale della posizione mandibolare e simulando gli eventuali effetti di una variazione della dimensione verticale (con un byte o con della registrazioni di masticazione) si potrà ponderare la stabilità della cervicale prima e dopo il nostro “intervento reversibile”.  L’odontoiatra  deve considerare che la mandibola, l’area cervicale e la lingua sono unità inscindibili e vanno valutate tutte con molta attenzione. La nostra  “variabile” inserita in bocca, può condizionare la postura e la dinamica della regione cervicale dando un contributo più o meno importante, a seconda se la bocca sia una causa di uno scompenso cervicale o sia un effetto. Per Meglio comprendere questi argomenti, vogliamo proporre una classificazione di uso comune in gnatologia, relativa alle diverse placche occlusali ideate da vari autori. Come abbiamo premesso all’inizio del presente capitolo, non è possibile in realtà standardizzare la terapia su tutti i pazienti prendendo ciò che un autore ha ideato, proprio perché la multifattorialità della disfunzione gnatologica e ancora di più del disordine cranio cervico mandibolare, richiedono un adattamento individualizzato della terapia verso la problematica specifica del paziente.

Tipologie di placche esistenti

A copertura parziale anteriore o di svincolo (Hawley, Sved) La mancanza di contatti posteriori permette di recuperare le torsioni mandibolari e di rilassare la muscolatura, il condilo si posiziona leggermente più avanti e ricattura il disco articolare per  lieve apertura  e  protrusione mandibolare. Questa placca, però, va attentamente controllata e utilizzata per un breve periodo, solo fino alla remissione della sintomatologia algico­ disfunzionale. La placca parziale anteriore richiede cautela, anche perché, non consente al reclutamento muscolare di scaricarsi sui molari, pertanto si scarica  sull’ATM  comportando una possibile sofferenza articolare iatrogena. Inoltre, a ogni deglutizione, la beanza posteriore genera instabilità occlusale con interposizione linguale di compenso e dispendio di energia muscolare; se utilizzate per lunghi periodi possono determinare anche estrusioni dentali posteriori indesiderate, tese a compensare la mancanza di contatti dentali posteriori e intrusione degli elementi anteriori per sovraccarico occlusale, con conseguente morso aperto anteriore alla rimozione della placca  occlusale.

Vengono  utilizzate  generalmente in condizioni di urgenza, in presenza di forti algie e in attesa di una terapia mirata. Attualmente sono disponibili anche quali presidi di automedicazione in diverse dimensioni, con maggiore o minore incremento della dimensione verticale. Sono da impiegare con estrema attenzione e per brevissimi periodi, in quanto utilizzate in assenza di informazioni precise circa le effettive esigenze del soggetto, inducono un “effetto chewin-gum” con sovraccarico della muscolatura e delle ATM. Nel lungo periodo possono determinare danno parodontale da sovraccarico funzionale.

L’indicazione all’uso di questo tipo di placca occlusale è la riduzione dell’incoordinazione condilo-discale con ricattura del disco. Il piano posteriore, permettendo al condilo di scivolare posteriormente e in basso, procura decompressione e minor stiramento del legamento posteriore con ricattura del disco. Se portata per lunghi periodi,  il disequilibrio occlusale, che si determina , può generare estrusione degli elementi anteriori, compressione articolare con nuova sofferenza e malocclusione per mancanza di contatti dentali sui posteriori.

Consentono il riposizionamento funzionale della mandibola grazie alla mancanza di intercuspidazione e a piani di guida con libertà di posizione, senza deficit di supporto; permettono, inoltre, la ricattura del disco per anteriorizzazione  condilare con lieve apertura e protrusione mandibolare. L’instabilità occlusale non permette stabilità in deglutizione e causa alterazione funzionale dell’azione dei muscoli sopraioidei che, invece di elevare l’osso ioide, abbassano e arretrano la mandibola; il condilo può dislocarsi posteriormente con perdita del disco che scivola in avanti.

Costringono la mandibola in una posizione di intercuspidazione voluta dall’operatore, generalmente in posizione di lieve protrusiva  condilare di “non schiocco” e antalgica, ma  non necessariamente fisiologica. Possono essere utili per brevi periodi, per condizionare la struttura, soprattutto in casi di traumi, o nella terapia multidisciplinare. Necessita di controlli ravvicinati e di grande attenzione.

Foto rappresentativa di alcuni tipi di placche occlusali. Nello specifico le 3 diverse placche erano state confezionate per lo stesso paziente senza sortire alcun effetto terapeutico. Qualsiasi tipo di bite risulta essere inutile se non accompagnato da una corretta diagnosi.

Come stabilizzare la masticazione
Ortotico neuromuscolare

Nei casi in cui vi è eccesso di spazio libero, si può normalizzare  il  rapporto   mandibolo-cranico del paziente con una peculiare placca: l’ortotico neuromuscolare, che non può essere assimilato alle altre placche proposte per il trattamento dei pazienti disfunzionali. Non è un mezzo che aiuta a identificare una posizione mandibolare accettabile  dal paziente e non viene proposto come terapia puramente sintomatica,  ma rappresenta  una simulazione di fine trattamento in quanto permette alla mandibola di  posizionarsi in miocentrica. L’ortotico non ha dimensioni standardizzate e non costringe la mandibola in una posizione predeterminata dall’operatore, ma concede alla mandibola la posizione mandibolare in armonia con la funzione e l’anatomia individuale indicata dalla contrazione dei muscoli  rilassati  ed equilibrati. L’ortotico viene, di regola, costruito in arcata inferiore, arcata che presenta cuspidi di supporto su tutti i denti; inoltre, in questa posizione interferisce meno con la dinamica della deglutizione, funzione cardine che si intende normalizzare, oltre a migliorare anche estetica e fonazione. L’utilizzo del dispositivo rieducativo funzionale, nell’arcata inferiore, consente anche di interferire il meno possibile con il movimento ritmico e fisiologico delle ossa del cranio, gestito dal meccanismo respiratorio primario MRP. Con l’ortotico non solo si può ripristinare un rapporto mandibolo-cranico fisiologico, perché calcolato secondo le indicazioni della muscolatura, ma anche riprodurre, compatibilmente con l’antagonista, una corretta morfologia occlusale rispettando precisi criteri anatomo funzionali. È questa accurata morfologia che  ne  permette  anche  un uso prolungato nei casi in cui si voglia condurre il trattamento funzionale anche oltre i sei mesi in attesa della terapia finale.

Coronoplastica sottrattiva o additiva

Altra condizione che si può presentare è quella in cui la discrepanza tra una condizione di equilibrio funzionale e l’occlusione abituale del paziente, siano molto vicine, ma richiedano comunque, a causa di un’espressività clinica, di un riequilibrio funzionale. La scelta terapeutica è quella di operare un rimodellamento occlusale con la tecnica della coronoplastica additiva o sottrattiva a seconda del caso che incontriamo. La morfologia occlusale deve soddisfare ben precise caratteristiche per risultare ergonomica e fisiologica:

libertà  di  ingresso  delle  cuspidi nelle fosse antagoniste, lungo la traiettoria di deglutizione, per evitare interferenze e forze non assiali ai denti; contemporaneità di contatti in occlusione per evitare alla mandibola dannose torsioni, stabilità in deglutizione per evitare che la contrazione muscolare dislochi la mandibola, innalzando l’osso ioide, e per permettere la funzione con il minimo sforzo muscolare possibile. E’ chiaro che con la coronoplastica possono essere corrette solo piccole differenze fra l’occlusione abituale e la miocentrica. Ciò significa che, sebbene siano rari i casi in cui questa metodica sia la sola terapia da adottare, le metodiche di coronoplastica risultano indispensabili nella quasi totalità dei casi alla fine del trattamento gnatologico, e nella maggior parte dei casi, richiedono un rimodellamento additivo rispetto alla sottrazione.

Ortognatodonzia

Questa condizione si determina nei casi, non infrequenti, in cui la miocentrica calcolata e ottenuta dalla riabilitazione gnatologica cada nettamente al di fuori del piano occlusale del paziente. In questa situazione si può ricorrere all’ortodonzia al fine di modificare le determinanti dentali. L’ortodontista si avvarrà per l’impostazione terapeutica non solamente dei  dati morfologici abituali, ma anche del dato funzionale ed elettromiografico.

Condotta terapeutica

Fondamentale è distinguere la tipologia dei pazienti e la sintomatologia relativa. Ci sono pazienti che si presentano alla nostra osservazione con DCCM in seguito a malocclusione (naturale o iatrogena). Quando è possibile intercettare la malocclusione come causa di effetti secondari, possiamo dire che la stessa possa causare fenomeni “discendenti”, ovvero, di disturbo verso altri organi o distretti. Al contrario, possiamo trovarci di fronte a diagnosi di DCCM, in cui la bocca sia un effetto di altri distretti, definendolo in questo caso ascendente. E’ immaginabile che spesso si incontrano situazioni miste, in cui è opportuno fare grande attenzione diagnostica, interagendo con diversi specialisti che possano rientrare nel problema specifico.

Questo ci fa comprendere che:

  • A seconda di cosa sia causa e cosa sia effetto, ci troveremo davanti a quadri diagnostico-terapeutici differenti.
  • Non sempre la terapia gnatologica può essere la chiave della risoluzione del caso.
  • L’approccio interdisciplinare è il sistema migliore per poter fare una corretta diagnosi e dare un serio contributo ai nostri pazienti.

La variabilità del quadro clinico e sintomatologico del paziente con DCCM varia inevitabilmente a seconda del caso specifico. Potremo incontrare quindi differenti quadri clinici, come ad esempio, cefalea muscolo-tensiva, incoordinazione condilo-meniscale, blocco articolare, problematiche posturali e via discorrendo.  A seconda del quadro sintomatologico – clinico e in base al tipo di occlusione del paziente si utilizzerà un bite plane superiore o inferiore, l’uso delle diverse  placche occlusali servirà ad aiutare una volta il sistema muscolare, una volta le ATM, una volta il rachide cervicale e così via. Possiamo paragonare il bite ad una “stampella” che aiuta noi e l’apparato stomatognatico a ritrovare la via della guarigione attraverso la riabilitazione neuro-occlusale e la riabilitazione fisioterapica. Quindi i tempi e le modalità di utilizzo delle placche occlusali variano a seconda delle problematiche individuali del soggetto.

Come si evince dalla presentazione dei diversi tipi di placche, un uso prolungato diurno e notturno di qualsiasi tipo di placca occlusale determina alterazioni dell’occlusione con intrusioni o estrusioni dentali che possono rendere indispensabile una successiva terapia odontoiatrica (ortodontica, protesica, molaggio selettivo ecc.). Bisogna inoltre considerare che studi e ricerche condotti  sulle  caratteristiche dello spazio libero interocclusale, free way space (FWS), prima e dopo somministrazione di TENS (elettrostimolazione neurale transcutanea) a bassa  frequenza,  hanno  dimostrato che in una percentuale non trascurabile di pazienti affetti da patologie algico-disfunzionali dell’apparato  stomatognatico, pari al 12%  circa, non è indicato incrementare la dimensione verticale occlusale (DVO). In questi casi, l’uso di una placca è controindicato in quanto priverebbe il soggetto del fisiologico FWS  e  sottoporrebbe la  muscolatura a sovraccarico per tentare di sfuggire alla condizione obbligata dalla  presenza della placca. Nel paziente algico disfunzionale, quindi, non si  deve  pensare solo in  termini  di  biomeccanica  articolare alterata, quanto di fisiologia neuromuscolare alterata e da ripristinare. Per concludere ripetiamo il concetto che: “l’occlusione e la massima intercuspidazione (CO) in occlusione centrica vengono raggiunte e utilizzate solo per pochi istanti al momento della deglutizione, ma quest’ultima è così importante, per frequenza e attività muscolare, da costituire la principale attività dell’apparato stomatognatico, automatica, ritmica e continua, con intervallo funzionale di un minuto circa, sia durante la veglia che durante il sonno”. Conseguenza di ciò, l’occlusione abituale è il vero dittatore della postura mandibolare, perché proprio in massima intecuspidazione avviene la deglutizione, altrimenti impossibile, se non con l’attivazione di meccanismi  di compenso, quale per esempio l’interposizione linguale.

Domande frequenti

Si se si tiene conto di alcuni fattori quali:

  • i muscoli sternocleidomastoideo e trapezio presentano un’innervazione cranica (XI nervo cranico o nervo accessorio spinale) e la loro irritazione è in grado di irradiare dolori e disturbi in vari distretti del capo;
  • il muscolo piccolo retto inferiore è un piccolo muscolo della zona sub-occipitale che si inserisce tra prima vertebra cervicale (atlante) e la base del cranio a stretto contatto con la dura madre (struttura  che è parte attiva della catena dei muscoli deputati alla postura del capo sul collo) la cui  compressione funge da “spina irritativa” a livello endocranico in grado di innescare cefalee, anche di tipo simile all’emicrania, e problemi di equilibrio;
  • le torsioni cranio-cervico-mandibolari possono interferire sulla fisiologica funzionalità dei recettori visivi, uditivi e vestibolari. Ad es.  le ossa temporali costituiscono il supporto osseo degli organi vestibolari ma un ipertono dei muscoli masseteri, sternocleidomastoidei e del ventre posteriore del digastrico può contribuire a una contro-rotazione delle ossa stesse e quindi degli organi vestibolari così che i segnali trasmessi diventano poco comprensibili al sistema dell’equilibrio a causa del loro scoordinamento;
  • la zona dell’articolazione temporo-mandibolare è ricca di vasi sanguigni e nervi ed è  pertanto altamente algogena. In particolare è da sottolineare la presenza della radice sensitiva (ganglio di Gasser) del nervo trigemino;
  • la collocazione e il peso della testa che con i suoi 4-6 kg in un adulto rappresenta l’estremità corporea più pesante;
  • la riprogrammazione posturale che avviene tramite i recettori neurosensoriali tutte le volte che i denti superiori e inferiori vengono a contatto (ad es. durante la deglutizione).

Come dicevamo, se si considerano anche solo questi fattori, ci si può facilmente render conto del ruolo che una corretta postura, e in modo particolare del capo, può avere riguardo tali disturbi (che possono però, sia chiaro, anche avere origini primarie in disfunzioni dei relativi organi e sistemi)».

Se l’origine primaria del disturbo è posturale, queste figure professionali possono rivestire un ruolo importante all’interno di uno specifico e personalizzato programma di rieducazione posturale che richiede, per forza di cose, un lavoro d’equipe. Se la problematica è invece dovuta a un’alterazione muscolo-tensiva momentanea (ad es. a seguito di un trauma), l’azione di queste figure può essere di per sé risolutiva.

È importantissimo farsi visitare dallo specialista in otorinolaringoiatria affinché vengano escluse patologie primarie a danno dell’orecchio interno o dei seni cranici (ad es. il distacco degli otoliti  –  stati infiammatori quali  labirintite, sinusite- lesioni tumorali). In tali casi le cure dello specialista in questione sono indispensabili. Nel caso in cui vi è una origine muscolo-tensiva da trauma e/o posturale, occorre un apposito esame posturale e relativa rieducazione. In tali casi l’azione dell’otorino dovrà eventualmente rientrare in un programma coordinato di controlli e cure con altri specialisti.

Ovviamente lo spostamento mandibolare può essere secondario a una problematica derivante da un cattivo appoggio podalico e malposizionamento del bacino. È però evidente che se ciò ha comportato un’alterazione strutturale a livello occlusale, bisognerà intervenire anche su di essa in sinergia con ciò che viene fatto per sanare la problematica ascendente. La nostra esperienza riporta una predominanza di cause miste ascendenti-discendenti che si alimentano seguendo un pericoloso circolo vizioso e che è imperativo affrontare tramite un approccio integrato e con continui controlli in grado di fornire dati quanto più precisi possibile e quindi confrontabili nel tempo.

Una volta esclusa una patologia primaria a danno del labirinto o del sistema nervoso centrale, eseguire un’adeguata analisi posturale.

Occorre considerare che i DCCM presentano spesso più fattori concomitanti e in cui anche lo stress psicologico può avere un ruolo importante (sia come causa favorente i disturbi sia ovviamente come conseguenza che però tende ad alimentare il disturbo primario). Tutti i disturbi posturali possono presentare percorsi complessi di risoluzione, tanto più quanto più sono datati, a causa della naturale tendenza dell’uomo a creare compensazioni posturali antalgiche che tendono a “scaricare” dal dolore una regione corporea per poi però inevitabilmente sovraccaricarne un’altra stimolando così una catena di atteggiamenti posturali consecutivi a cui non è sempre facile risalire. La ns. attuale statistica di guarigione si aggira attorno al 95%  ciò grazie a 30 anni di  esperienza e di lavoro  d’equipe oltre alle  acquisizioni scientifiche e tecnologiche.

È chiaro, dunque, che abbiamo bisogno sia del parere di un posturologo che di un bravo gnatologo che sia in grado di fornirci, nel caso, un bite adatto a risolvere il nostro problema

Perché il bite influenza i recettori nervosi parodontali, muscolari e articolari del sottosistema posturale craniale, cervicale e mandibolare. Se l’influenza è positiva, e lo sarà se il byte è indicato, ben progettato e ben eseguito, il sottosistema riceve un potente stimolo per il suo riequilibrio cui seguirà la scomparsa dei sintomi come cefalee e vertigini. La cefalea tensiva viene considerata costituire il 60% di tutte le cefalee e quella emicranica che ne rappresenta il 20% circa ha sempre una componente muscolo tensiva. Questo a sua volta può influenzare positivamente l’intero sistema posturale e di regola lo fa.

Malocclusione significa letteralmente “cattiva occlusione”, cioè cattiva relazione di contatto tra i denti. La parola dovrebbe fare riferimento esclusivamente a quelle anomalie dell’occlusione che determinano patologie a carico dell’apparato masticatorio. Oggi è invece utilizzata anche per indicare semplici disallineamenti dentali che comportano solamente alterazioni nell’estetica del sorriso e questo può ingenerare una pericolosa confusione tra la necessità terapeutica e il desiderio di estetica che può essere un’esigenza non oggettiva, comunque rispettabile ed esaudibile, ma distinta dalla malattia. Sarebbe quindi preferibile definire la malocclusione su un criterio di disfunzione, rilevabile attraverso l’espressione di segni e sintomi correlabili:

  1. deformità dell’estetica facciale in genere
  2. alterazione oggettivamente importante dell’estetica del sorriso
  3. disfunzione dell’articolazione temporo-mandibolare
  4. difficoltà nella masticazione
  5. predisposizione alla malattia parodontale
  6. difficoltà dell’eloquio
  7. predisposizione alla carie dentale
  8. disordini neuromuscolari del distretto cranio-cervicale

Sebbene uno solo di questi otto punti sia sufficiente per porre la diagnosi di malocclusione una loro coesistenza, spesso presente, non lascia alcun dubbio». Vedi paragrafo Ortognatodonzia

Il materiale elettivo per un bite è la resina termoformata perché è facilmente modificabile con aggiunte o fresaggi , adeguandosi così, il bite, ai progressi del paziente nella riprogrammazione posturale.

Molti  osteopati non amano il bite sull’arcata superiore perché a loro dire provocherebbe un blocco craniale serrando eccessivamente la sutura sagittale palatina.  Ciò è vero: in alcuni casi  c’è già un blocco craniale e un bite superiore può esacerbarlo, ma basta dividere il bite in due sulla linea mediana sagittale  per ovviare. In realtà è preferibile usare il bite inferiore perché è più comodo e se serve può essere utilizzato anche di giorno. Personalmente uso il bite superiore solo quando ci sono determinate condizioni occlusali.

I test funzionali, descritti in osteopatia ma soprattutto in chinesiologia applicata e l’analisi elettromiografica di superficie, sono eccezionali, quando usati con proprietà e non banalmente,  per la diagnosi generale e per stabilire la tridimensionalità   del rapporto della mandibola col cranio e la riprogrammazione posturale . Per definire  finemente i punti di “battuta” ideali della superficie occlusale del  bite con i denti dell’arcata opposta nonché i tragitti di disclusione è utile anche una cartina occlusale.

Sì, specialmente in casi molto sintomatici con sbilanciamenti importanti. Il corpo deve adattarsi alle nuove posture e le decompressioni di alcune parti indicano compressioni in altre… non è una passeggiata ma nemmeno una cosa trascendentale. Meglio se seguiti da un professionista.

Nessuna logica può negare la relazione sistemica posturale globale con il sottosistema cranio-cervico-mandibolare. Appare del tutto illogico non considerare quindi gli squilibri posturali generali ai fini della progettazione corretta di un bite. Talora, per effetto della olografia corporea, da una determinata malocclusione  può discendere una cascata posturale pre-definibile, ma ciò non autorizza automatismi diagnostici “discendenti” perché altrettanto spesso non è così.  A tal proposito nel passato si è fatto ampio uso dei termini discendente e ascendente per indicare nei disordini posturali una causalità primaria della malocclusione (discendente) o per esempio di un difetto podalico (ascendente). Ciò può essere vero in molti casi soprattutto in quelli da trauma recente. Di solito invece la distorsione posturale è globale e il clinico dovrà  determinare la priorità d’intervento distinguendo tra le  cause predisponenti, determinanti e scatenanti».

L’assetto posturale si modifica a ogni variazione degli input sensoriali e abbiamo già detto come il bite influenza i sensori recettoriali dei denti , dei muscoli e delle articolazioni del sottosistema cranio-cervico-mandibolare. L’effetto della riprogrammazione posturale globale  dipende  comunque da altri fattori e può essere imprevedibile se non ben studiato in progetto e poi confermato in trend. La postura è una funzione complessa con molteplici variabili di cui quella offerta da un byte può essere talora determinante e talora no, e questo sia in senso negativo  ( attenzione ai bite mal progettati e soprattutto mal seguiti) che positivo.

L’oggetto bite ha un costo da moderato a medio, ma il tempo necessario per studiarlo, eseguirlo e controllarlo può essere molto vario. Il bite dev’essere il frutto di uno sforzo diagnostico e del suo controllo altrimenti è un oggetto di nessun valore, vorrei quasi dire una truffa. Riferendosi quindi solo ai bite frutto di uno studio ponderato e ben controllati il costo medio è di 800-1000 Euro omnicomprensivi».

Su questo punto non abbiamo dubbi. A nulla vale la teoria se non è seguita da una clinica pratica e nel campo dei bite c’è troppa teoria fumosa e pretestuosa e , purtroppo anche ciarlataneria. Il criterio giusto è quello di verificabilità del successo terapeutico nel senso previsto dal medico. Lo si può chiamare criterio ex juvantibus, ovvero se il bite giova significa che è giusto e corretto altrimenti  è sbagliato o semplicemente non era indicato in quel caso.

Negli anni novanta alcuni studiosi ben conosciuti preconizzavano esclusivamente bite che posizionassero anteriormente la mandibola. In effetti questo riposizionamento anteriore ha sicuramente un effetto benefico per la riduzione di pressioni articolari eccessive altrimenti eccessive.  Il concetto era infatti di riposizionare la mandibola in avanti fino al massimo consentito per “scaricare” le articolazioni temporo-mandibolari e poi ridurre progressivamente questo avanzamento “terapeutico”. In certi casi si può considerare tuttora valido ma oggi si preferisce un recupero nelle tre dimensioni in correlazione con le correzioni posturali e con concertazione del trattamento in parallelo. In ogni caso bisogna distinguere sempre tra le posizioni forzate terapeutiche e quello che risulterà l’assetto finale che dipenderà dall’impegno del paziente nel perseguire un miglioramento posturale con ginnastica corporea e anche mentale, data la con causalità psicogena negli atteggiamenti posturali e nelle tensioni muscolari.

Il click articolare è un epifenomeno acustico e non una patologia in sé. Gli studi tutt’ora validi di Helkimo considerano che un terzo della popolazione normale ha un rumore dell’articolazione tempo mandibolare. Ciò nonostante esistono rumori  particolarmente definiti nel suono e nella cronologia  durante i movimenti mandibolari, come per esempio il cosiddetto click reciproco (all’inizio dell’apertura e verso la fine della chiusura della bocca) di cui si può preconizzare la scomparsa in seguito a trattamento.

Bisogna, inoltre, considerare che la comparsa del click articolare è spesso correlata al danneggiamento (spesso irreversibile) dei legamenti collaterali dell’ATM. Pertanto si può pensare di ridurre l’intensità del click attraverso una terapia gnatologica  che abbia, come obiettivo, il raggiungimento di un buon equilibrio condilo meniscale.

Nell’adulto l’uso prolungato del byte potrebbe provocare alla lunga un riposizionamento mandibolare che potrebbe portare alla riduzione di una seconda classe , difficilmente di una terza che anzi viene spesso evidenziata  maggiormente. Questo perché lo sblocco articolare comporta di regola un avanzamento mandibolare, sia pur nel contesto di un riposizionamento  comunque tridimensionale.

La prescrizione d’uso  nelle ore diurne e/o notturne viene fatta dal medico a seconda dei casi. Non c’è una regola  tranne che per i casi di puro bruxismo notturno. Comunque solo in rari casi il bite deve essere utilizzato 24 ore al giorno e per periodi brevi. Infatti un uso troppo prolungato determinerebbe degli spostamenti dentali adattativi con comparsa di discrepanze occlusali importanti che possono costringere poi il paziente a dover effettuare delle riabilitazioni onerose.

Come indicato precedentemente, non tutti i bite si prescrivono per patologie, ma anche per migliorare  l’efficienza della sinergia neuromuscolare. Gli sportivi traumatizzati o con problematiche occlusali primarie, per esempio, lo useranno sempre durante gli allenamenti e le gare. In caso di patologie si può avere restituito ad integrum ovvero completa guarigione dopo un periodo d’uso di qualche mese oppure si dovrà procedere ad un intervento sulla dentatura per stabilizzare il risultato. Questo potrà essere minimale oppure esteso in un trattamento ortodontico o protesico anche complesso se, per esempio, mancano dei denti.

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